MEMORIA AUDIZIONE PRESSO L'11^ COMMISSIONE DEL SENATO SUL DISEGNO DI LEGGE N.1122 RECANTE DELEGHE AL GOVERNO PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Roma -

Art.2 Delega in materia di Pubblico Impiego

Giudichiamo positivamente l’intento di ridurre tempi e costi delle procedure di accesso al pubblico impiego. Positivo il comma 2 dove viene riconosciuta l’esigenza di differenziare le prove sulle base delle figure professionali che si intende assumere. Riteniamo che questa esigenza di valorizzare le differenze rispetto alle professionalità si debba estendere anche alle differenze tra tipologie di amministrazioni. Ci sembra invece che vi sia una tendenza a considerare la PA un unicum e a considerare i lavoratori pubblici indifferenziati nella logica del dipendente della Nazione. Questa impostazione a nostro avviso non è funzionale ad una pubblica amministrazione efficiente e non trova similitudini in nessun Paese europeo.

Positiva l’introduzione nelle prove selettive dell’utilizzo dei sistemi informatici.

Consideriamo invece assolutamente improprio inserire verifiche psico-attitudinali nelle progressioni di carriera, soprattutto tenuto conto del dilagante fenomeno del mansionismo. Ad oggi la maggior parte dei dipendenti è costretta a svolgere mansioni superiori al proprio livello, e quindi ad assumersi maggiori responsabilità, senza che vi sia alcun riconoscimento salariale, né tantomeno giuridico. Riteniamo che la pretesa di complicare ulteriormente le progressioni di carriera vada nel verso opposto rispetto al giusto riconoscimento del lavoro svolto da questi lavoratori.

Da segnalare, nell’ottica di riduzione dei costi, che il recente provvedimento di abrogazione delle graduatorie ha di fatto impedito la chiamata di moltissimi vincitori idonei, strumento di reclutamento più economico e da sempre indicato come buona amministrazione. Auspichiamo un ripensamento in tal senso ed un utilizzo delle graduatorie ancora vigenti.

Art.3 Delega per favorire il merito e la premialità

Si torna ancora una volta sul “merito” dei dipendenti pubblici richiamando concetti come l’oggettività che, legati alla valutazione, costituiscono un vero e proprio ossimoro: la valutazione sarà sempre e comunque soggettiva, e in quanto tale sarà strumento di gestione del dirigente e non assicurerà nessun miglioramento reale nell’erogazione dei servizi.

La qualità dei servizi pubblici erogati è influenzata da altri fattori, quali gli organici, le strumentazioni di lavoro, le infrastrutture, la formazione dei lavoratori, rafforzamento della funzione dei dipendenti pubblici rispetto ai cittadini. Questi sono i veri nodi per avere una PA davvero efficiente. Per affrontarli compiutamente servono investimenti e per questo nessun Governo lo ha mai fatto, delineando una impressionante continuità tra schieramenti che si sono dichiarati alternativi ed in particolare da questo governo che si è autodefinito “del cambiamento”.

Da sottolineare poi che il tema della valutazione viene legato al salario accessorio e alle progressioni di carriera. Una vera e propria aggressione nei confronti di salari che, a seguito di 9 anni di blocco contrattuale, hanno subito una perdita secca del potere d’acquisto, neanche minimamente recuperata con l’ultimo rinnovo contrattuale. La prospettiva, considerato quanto stanziato nella legge di bilancio, è che non vi sia nessuna inversione di tendenza. Per questo pensare di incidere, più di quanto venga già fatto oggi, con le valutazioni sul salario accessorio, significa far fare un ulteriore passo verso la povertà alla maggioranza dei lavoratori pubblici, tenuto anche conto che la parte cosiddetta accessoria è ormai una componente fondamentale del loro salario. Anche rispetto alle carriere va sottolineato che, oltre al fenomeno del mansionismo rappresentato nel commento all’art.2, va considerato che data la situazione degli aumenti contrattuali insufficienti anche a coprire l’inflazione, le progressioni rimangono l’unico strumento di miglioramento delle condizioni materiali per i dipendenti pubblici.

Infine l’utilizzazione dei soggetti estranei alla PA “con effettiva competenza in materia di gestione delle risorse umane” ripropone l’odioso tema del privato migliore del pubblico, che è costantemente smentito dai fatti. Riteniamo inoltre di poter dubitare sulla competenza di “esperti” che non conoscono le pubbliche amministrazioni.

Rispetto al coinvolgimento dell’utenza, crediamo che sia più che legittimo che si esprimano i cittadini che sono i destinatari dei servizi erogati dalla PA, ma allo stesso tempo riteniamo che vi debba essere una corretta informazione sulle condizioni di lavoro nelle quali vengono erogati i servizi.

Art.4 Delega per il riordino della disciplina della dirigenza

Condivisibile il principio di “separazione tra vertice politico e amministrativo”. Ci sembra però che ad un’enunciata intenzione di salvaguardare l’autonomia dei dirigenti, nei fatti poi la si limiti. Emblematica la previsione di sanzioni disciplinari anche relativamente “all’attività di gestione e coordinamento delle risorse umane”, che non possiamo non collegare all’articolo sulla valutazione dei dipendenti. Più chiaramente ci sembra si stia costruendo un combinato disposto che porta all’utilizzo della dirigenza come clava da utilizzare per una rigida applicazione delle norme dirette contro i lavoratori pubblici.

Art.5 Deleghe in materia di mobilità del personale pubblico ed incarichi ad essi conferiti

Accogliamo positivamente la semplificazione della mobilità volontaria, in particolare l’eliminazione del nulla osta da parte dell’amministrazione di provenienza ci sembra norma di buon senso.

Ci vede contrari la previsione del Licenziamento per il personale collocato in disponibilità in caso di mancata accettazione di due proposte di ricollocamento entro i 24 mesi previsti dalla normativa.

Art.6 Delega in materia di contrattazione collettiva del pubblico impiego

Anche in questo caso siamo di fronte all’ennesimo intervento sulla contrattazione, finalizzato a regolare il rapporto legge/contratto, con l’evidente intento di vincolare ulteriormente la contrattazione collettiva che sostanzialmente, come hanno dimostrato gli ultimi rinnovi contrattuali, è già ampiamente depotenziata. Ormai i contratti per la parte economica sono decisi dai burocrati dell’Unione Europea e per la parte normativa altro non fanno che recepire le riforme dei vari ministri della PA.

Siamo di fronte al paradosso che la trasformazione del rapporto di lavoro da pubblicistico a privatistico, abbia portato ai lavoratori pubblici tutti gli aspetti negativi del privato con tutti i vincoli del pubblico.

Vi è chiaramente un’emergenza democratica che va affrontata. Si va verso la trasformazione della contrattazione in atto notarile che le OOSS dovranno limitarsi a ratificare, pena l’esclusione dalla contrattazione di secondo livello. Riteniamo che sia urgente intervenire per ridare dignità alla contrattazione, restituendo alle parti la responsabilità di trovare una mediazione tra interessi diversi. In questo senso, come abbiamo già rappresentato al Ministro e a questa Commissione, è prioritario, per salvaguardare l’istituto della contrattazione, nonché i principi fondamentali di libertà e democrazia sindacale, cancellare la norma che penalizza la non firma dei contratti, attraverso una modifica del 165/2001 che chiarisca che il conseguimento della rappresentatività è requisito sufficiente a garantire la titolarità a tutti i livelli di contrattazione.

In riferimento alla contrattazione nazionale sorprende inoltre che non vi sia un’analisi della prima tornata contrattuale successiva alla riduzione dei comparti di contrattazione, nonostante nel cosiddetto contratto di governo sia prevista la verifica dell’efficacia delle riforme istituzionali. È infatti emerso con grande evidenza che gli accorpamenti realizzati hanno portato ad un peggioramento della contrattazione, che ha penalizzato le tante specificità che oggi rappresentano un valore aggiunto della nostra Pubblica Amministrazione. In particolare il comparto Istruzione e Ricerca è quello che ha mostrato le maggiori contraddizioni, evidenziando la totale impossibilità di arrivare, anche sul lungo termine, ad una vera omogeneizzazione. D’altronde la Scuola ha sempre rappresentato un settore diverso dal resto del Pubblico Impiego ed ha infatti costantemente necessitato di interventi normativi e contrattuali ad hoc. Ne consegue che sia un settore che per dimensioni e organizzazione del lavoro deve avere un comparto a sé. Per questo vi chiediamo di utilizzare questo disegno di legge per ripensare l’assetto dei comparti di contrattazione aggiungendo un ulteriore comparto, che potrebbe contenere Università Ricerca e AFAM che possono sicuramente trovare più facilmente ambiti comuni e vedere valorizzate le proprie specificità ed il loro ruolo, anche dal punto di vista contrattuale.

Il ragionamento espresso sull’autonomia negata alla contrattazione vale ovviamente anche per i livelli successivi al CCNL, ed in questo senso preoccupa molto il proposito di intervenire sui vincoli finanziari con riferimento alla contrattazione integrativa, ad oggi anch’essa sostanzialmente ostaggio dei vari livelli di controllo che svolgono una funzione di sostanziale commissariamento delle parti.

In sintesi ci sembra che vi sia l’intenzione di portare un’ulteriore attacco alla contrattazione, dandole il colpo definitivo.

Infine per quanto concerne la semplificazione dei procedimenti disciplinari, seppure limitata ai presunti illeciti di minore gravità, non possiamo condividerla in quanto su questa materia la semplificazione porta in sé un minor livello di garanzia. Quindi, come abbiamo già criticato la riforma Madia che agiva in questo senso, non possiamo che confermare il nostro dissenso.

 

Conclusioni

In definitiva siamo di fronte ad una nuova riforma del Pubblico Impiego in grande continuità con gli interventi realizzati dai governi precedenti. Siamo quindi costretti a dire che di cambiamento in materia di pubblico impiego c’è davvero poco. Sono ormai più di dieci anni che assistiamo a riforme del pubblico impiego fatte sostanzialmente in fotocopia senza che vi sia stata una verifica di quanto questo abbia fruttato in termini di efficienza e qualità dei servizi. Ve lo diciamo noi, queste riforme ai cittadini non hanno portato niente, perché i problemi della pubblica amministrazione sono altri.

Valutazione e vincoli alla contrattazione, sono solo modi per spremere i lavoratori pubblici e limitare i costi.

D’altronde nessun ministro si è preso la briga di andare a fare un’analisi reale per migliorare il settore pubblico e i servizi da esso erogati. Crediamo sia sufficiente pensare che nelle scuole elementari i genitori degli alunni sono costretti a comprare la carta igienica, oppure sarebbe illuminante passare una giornata in un Pronto Soccorso per capire in quali condizioni i lavoratori pubblici svolgono la propria funzione.

Nella relazione spesso è richiamata la funzione del dipendente pubblico con frasi come “valorizzazione del principio in base al quale i dipendenti pubblici sono al servizio esclusivo della Nazione” oppure “rafforzare lo spirito dei dipendenti pubblici nello svolgimento delle relative funzioni”.

Siamo d’accordo. Ma i contenuti vanno in altra direzione. Non basta estendere l’obbligo del giuramento.

In questo disegno di legge si vuole di nuovo “valutare” senza tenere in considerazione le condizioni nelle quali si lavora. Si vuole appiattire le specificità, ignorando che queste costituiscono un valore aggiunto. Si vuole ottenere maggiore produttività da organici già largamente insufficienti.

Come già detto i problemi sono le carenze di organico, le strumentazioni di lavoro, le infrastrutture, l’assenza di formazione dei lavoratori, le condizioni di sicurezza.

Se volete davvero ricostruire un senso di identità dei lavoratori pubblici intorno alla loro funzione, dovete restituirgli quella dignità che le riforme da Brunetta in poi hanno puntato a cancellare.

Se volete davvero una PA di qualità servono investimenti.

A partire da contratti che riconoscano le professionalità che il nostro settore pubblico ancora esprime, abbandonando l’idea dell’anonimo dipendente della Nazione che sottende inevitabilmente un abbassamento medio della qualità. Eliminare le norme frutto di una caccia alle streghe, che sono attaccate sui dipendenti pubblici come una sorta di lettera scarlatta, come ad esempio la penalizzazione sulla malattia. Avviare una formazione professionale che porti, insieme ad un’adeguata strumentazione, il dipendente pubblico ad essere orgoglioso del servizio che può offrire ai cittadini. Realizzare infrastrutture dignitose nelle quali andare a lavorare e accogliere i cittadini.

Partiamo da qua per ricostruire la PA che è stata distrutta, questo si che sarebbe vero cambiamento.